ACAF - Associazione Catanese Amatori Fotografia

 
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La responsabilitą del fotografo PDF Stampa E-mail
La nostra Etna è Patrimonio dell’Unesco. Che fare?
L’amico Pippo Pappalardo, ce lo suggerisce nella nota al  catalogo allestito per la mostra del fotografo Antonio Parrinello
 

parrinello.jpgLa responsabilità del fotografo

Non desti preoccupazione il titolo dato alla presente nota: qui, nell’occasione del lavoro predisposto da Antonio Parrinello - e nella circostanza dell’inserimento del vulcano Etna fra i siti considerati Patrimonio dell’Umanità - vogliamo solo porre l’accento sull’importanza del lavoro interpretativo e documentativo di quei fotografi che, in varie circostanze storiche, e per ragioni assai differenti fra loro, hanno direttamente o meno, contribuito a definire l’importanza di un sito o di un bene come patrimonio culturale o materiale, collettivo o di significativa importanza.

Invero, i fotografi che hanno provato a definire i valori e l’importanza di questi siti son dovuti andare controcorrente perché, nella cultura contemporanea, i postulati indicati dall’UNESCO sono sempre meno di pertinenza estetica e sempre più riportati all’ecologia, alla geografia, alla fisica terrestre e, più recentemente, al mondo giuridico.

In effetti, per costruire queste nozioni non si privilegia più l’esperienza visiva dell’osservatore ma si fa ricorso alle scienze che studiano l’argomento, adoperando concetti oggettivamente differenti seppur utilizzati come sinonimi, come territorio, luogo, ambiente, ecosistema ed altri ancora.

Invece, è l’osservatore che fa l’Etna. E, con lui, quel fotografo che esprime la sua osservazione e ne dà il segno rappresentativo sia esso di natura documentativa, narrativa, o artistica.


Pertanto, i fotografi ritengono ancora necessario conservare e mantenere nell’elaborazione valutativa di questi beni la valenza estetica, se non altro per individuare proprio le componenti estetiche ai fini della loro conservazione e tutela.

Da qualche tempo essi rifiutano una rappresentazione come mera riproduzione di un quadro naturale e, conseguentemente, rifiutano il concetto di scorcio, di veduta, di panorama e tentano di recuperare visivamente l’immagine, o meglio, la forma che il vulcano assume non solo grazie alla natura dei suoi elementi oggettivi ma soprattutto alla sua storia.

Parrinello cammina lungo questo crinale: rigetta la concezione panoramicistica e vedutistica e sottolinea come non si possa accettare più una fruizione spettacolare del territorio ma si debba cercare di decifrare quella mappa di segni che, equilibrati fra loro, possa contribuire al riconoscimento di un rapporto armonioso fra tutti gli elementi (fuoco, terra, cielo, piante, silenzio, infinito) spingendosi altresì a cercare non soltanto un dato naturale ma anche un rapporto fondante con la storia dell’uomo e con le sue sensazioni.

Il fotografo, infatti, si rende conto che il problema non è solo quello importantissimo di documentare e di far conoscere qualcosa di diverso, ma quello di intercettare - dentro un bene ormai non più solo suo - la sua stessa storia, presente e passata, e attraverso questa rivelazione, muovere i primi passi verso una narrazione apportatrice di agnizioni e di risposte ai bisogni di intervento.

Ecco, allora, nelle immagini proposte, la presenza costante di un uomo che, coscienzioso e preparato, vuole osservare, guardare e, finalmente, vedere.

Ecco, quell’uomo, nell’altura buia o luminosa, cercare una nuova dimensione.

Ecco, allora, il richiamarsi di questa fotografia a quella serie di storici fotografi (Sellerio, Leone, Pitrone, Barbagallo) che hanno contribuito con immagini famose a far capire come l’Etna sia diventata - oltre la natura,il mito, e la storia -, un patrimonio ovvero, secondo l’etimo della parola, un “compito del padre”.

E, quindi, il compito di noi, figli e padri di questa montagna divenuta una risorsa per tutti. Un gran bel compito.

(Pippo Pappalardo)
 
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