La fotografia dell’Anno
di Pippo Pappalardo
Ormai l’aspettiamo ogni anno con trepidazione, la inondiamo poi con i
commenti più disparati e , quando, insieme alle altre, finirà in un
libro la riporremo, a futura memoria, nello scaffale della libreria.
Parliamo ovviamente dell’assegnazione ad Amsterdam del World Press Photo
2012 assegnato al trentenne spagnolo Samuel Aranda, fotografo da non
più di un decennio che ha immortalato (scusate, ma mi ostino a usare
questo termine) una donna (una Madre?) avvolta e nascosta da un velo che
abbraccia e copre il cadavere (forse) di un uomo nudo e ferito. E’
stata raccolta il 15ottobre 2011, nello Yemen insanguinato a seguito
delle proteste popolari, davanti una moschea dove coloro che
protestavano andavano rifugiandosi per scampare al fuoco dei militari, e
soccorrersi a vicenda.
Saranda è un fotografo per niente affermato, ben disposto, però, ad
andare a caccia di immagini convincenti e che ha saputo guadagnarsi
diecimila dollari un ottima macchina fotografica, tanti obbiettivi e
molta pubblicità.
Accanto a lui, la grande macchina dei giudici che ha passato in rassegna
un numero eccezionale di immagini, ha premiato, nelle singole sezioni,
ben sette italiani di cui ci piace sottolineare i nomi: Paolo Pellegrin,
Alex Majoli, Francesco ZIzola (i soliti nomi, qualcuno dirà), Pietro
Paolini, Simona Ghizzoni, Emiliano Larizza (beh, questi non sono i
soliti noti).
Sul giornale “La Stampa” di Torino Marco Belpoliti titolava “La
fotografia dell’anno è una Pietà a colori”, ricollegandosi iconicamente
col capolavoro michelangiolesco e con tanti celebrati esempi di pitture
visiva (e, possiamo aggiungere, con le icone di tante processioni
pasquali della nostra Addolorata).
Aggiungeva l’eccellente critico: “un’immagine ad alto contenuto
estetico, prima ancora che giornalistico o comunicarivo”, ben giocata
nell’insieme della composizione e nel particolare dei dettagli (quei
guanti bianchi!). Quelle due figure, in effetti, le abbiamo viste già
in tanti quadri; un istante rubato nel momento in cui si è realizzata la
“posa” perfetta.
Concordiamo con quanto riportato dal Belpoliti, sia nel merito della fotografia, sia nell’atteggiamento critico suscitato.
Ci piace, però, aggiungere un altro tassello alla riflessione: ogni anno
ci tocca premiare immagini che ci toccano e ci riguardano per fatti di
guerra e di violenza più o meno intensamente toccanti. E se provassimo a
premiare il più bell’abbraccio, la più belle stretta di mano, il bacio
più appassionato?
Magari il fotografo risulterà indiscreto ma il suo fotografare non
richiederà l’eroicità del nostro Saranda. Oppure i baci sono sempre
falsi mentre le pallottole sono sempre vere.
Nei miei ricordi c’è un verso di Brecth che ancora suona: “maledetta la terra che ha bisogno di eroi”.
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