Musei d'Ombre |
![]() |
![]() |
![]() |
di Pippo Pappalardo
No, qui m’interessa ritornare, ancora una volta, al tema della città e
del rapporto che con lei intrattiene la fotografia. E non quella
fotografia che costella la superficie delle lapidi e dei cippi ma
quella fotografia che sa guardare al cimitero come ad una parte vitale
della città. Si, proprio così, vitale. Mi spiego meglio: il cimitero è
uno spazio per e della memoria prima ancora che un mero deposito di
cadaveri. Però, pensateci bene, alla memoria abbiamo sostituito la convenzione: tombe ricche e tombe povere, tombe allineate e tombe monumentali, segni religiosi o nessun segno, nomi e date per tutti (o quasi) per non ricordare nulla. Uno specchio, quindi, che riflette la città? Uno spazio o, meglio ancora, un topos dove annegare la nostra paura? (Continua da pagina 3) Come nasce un cimitero? Ha ancora un suo fascino, un’attrazione? Se è evidente il suo rapporto con il sentire religioso, che spessore ha questo rapporto? Riteniamo, forse, che i cimiteri stanno lontani per non pensare troppo alla morte? Eppure, non è questo un luogo dove abitano le emozioni? Luoghi di morte eppure pulsanti di vita, regolamentata da sensi unici e passaggi pedonali. Luoghi di pace eppure capaci di bussare dentro di noi suscitando emozioni e i tormenti, rimpianti e riflessioni sull’oggi e su quello che sarà. Ed intorno a questo silenzioso clamore c’è qualcosa che lo riflette? E se c‘è questa riflessione, siamo in grado di intercettarla? Davvero “sorella morte” cammina così veloce da non essere sorpresa dai nostri obiettivi? Troppe domande, lo riconosco. E poi dovevamo parlare di città. Stiamo fotografando, forse, nel quartiere sbagliato? |
< Prec. | Pros. > |
---|