E dai Alberto, non ti avevo detto di essere positivo?
La fotografia è consumo? E non viviamo forse nella società del consumismo?
E poi... quello della fotografia non è un mercato? Non è dunque giusto che si consumi? Il mercato vive di quello!
Ti lamenti di essere condizionato dal brodo culturale in cui sei immerso, ma, grazie a Dio, tutti lo siamo e tutti lo sono stati prima di noi. Meglio il brodo, digeribile a tutti, che la nuda pietra, grezza, pura, ma incommestibile.
Tutti siamo condizionati dal substrato culturale in cui viviamo. Dal cibo all'abbigliamento, a tutto il resto. Eppure questo non ci impedisce di mantenere ciascuno la propria unicità.
Torniamo alla fotografia e alla "domanda": perché fotografiamo. Per dirla con il solito Smargiassi, potrei dirti: " Ho visto, guarda anche tu". (Che ti consiglio di leggere).
Alla fine della storia è un modo di comunicare. Un'esperienza, un'emozione, un ricordo, qualcosa. L'esecuzione è meccanica, condizionata nel modo e nel concetto? Ma questo non fa della tua immagine l'immagine di un altro ancorché culturalmente e metodologicamente condizionata. Sei sempre tu che punti l'obiettivo. Tu che mi dici cosa vuoi che io guardi. Non è così col quadro o il disco di cui tu parli. Ciò che rappresenti nella foto dipenderà si dal tuo substrato culturale (o dal tuo imprinting sociale se preferisci), sarà sì condizionato dal tuo strumento, ma sarà sempre e comunque figlio di un tuo atto di volontà. Sarà frutto di una tua scelta estetica, stilistica, espressiva, giusta o sbagliata E così sì potrai ancora pur dire "questo l'ho fatto io"...
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