Rispetto le considerazioni e gli assunti di Emanuele e di Alberto ( e sarei assai gratificato dalla crescita e dalla partecipazione al dibattito).
Eppure, mi sembra di cogliere una eccessiva ansia di sistemizzare (scusatemi l'espressione) la vicenda fotografica.
Ricordiamoci sempre che questa vicenda vive nel tempo e col tempo, e, pertanto, risente di volta in volta della storia che attraversa e dei bisogni che, di volta in volta, è chiamata a soddisfare; e tanto vale anche per i fotografi.
La fotografia in genere, ed il mondo che la circonda, con suoi protagonisti e con le sue tecnologie, vive direttamente ed indirettamente, le inquietudini dei nostri tempi: non ha più il presunto monopolio dell'informazione ma ancora si propone come strumento di comprensione; vive la maledizione dell'oggettivizzazione (scusatemi per questo altro termine) del reale eppure ha dimostrato di essere idonea a farsi interprete, con i più squisiti soggettivismi, di questa realtà; nata per guardare la costruzione del mondo e la complessità dalla figura umana ed è divenuta espressione di una visione capace di guardare dentro se stessa e dentro i suoi meccanismi rivelando di riflesso nuovi percorsi intellettuali ed esistenziali; fenomeni come la moda o l'attenzione alla nostra "ciccia" non esisterebbero senza la fotografia; e l'attuale inflazione e consumo fotografico fanno implodere la curiosità circa le possibilità del mezzo ma denunciano un'assenza di capacità a vedere la realtà che, di conseguenza, svela la nostra cecità.
Tra gli anni 1935 e 55, in America, ebbe vita e rilievo la Photo League, un'associazione dove ognuno, liberamente, proponeva la sua visione, con i pochissimi mezzi a disposizione, consapevole che le personali paure o timidezze o perplessità avrebbero trovato ascolto,forza e correzione fraterna, all'interno di un sodalizio di persone che vivevano gli stessi timori.
Andiamo, allora, a rileggerci la loro storia: provenivano dalla F.A.R.M. e si sarebbero scontrati con l'ottimismo di Family Man; eppure hanno mantenuto forte le loro idee, facendosi sconfiggere solo dal maccartismo più ottuso e delirante.
Già, le proprie idee. Alberto conclude bene. Ed io convergo nel dire che la fotografia va bene se riesce ad esprimere idee d esperienze utili, convincenti, plausibili, comunicabili.
E allora, come diceva Giacomelli, fotografiamo le nostre idee. E se le nostre idee sanno di morte....... beh, se sta ferma un secondo, possiamo fotografare anche quella (Scianna docet).
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