ottime considerazioni! ...passaggi logici importanti!
...però, a mio avviso la questione è, e resterà sempre, senza risposta! Solo quando l'oggi diverrà ieri avremo conforto, ma mediteremo ancora sul problema.
Mi interrogo anch'io da molto tempo sulla questione, nel tentativo di riconoscere la strada in cui la fotografia contemporanea si muove e tentare quindi di individuare avanguardie e varianze.
Perchè mi chiedo questo? Probabilmente per collocare me stesso all'interno di una cornice storica, che possa aiutarmi a capire meglio la fotografia che mi interessa. Ritengo che l'unico motivo valido per fare tali sforzi intellettuali debba essere rivolto solo a trovare risposte che aiutino la propria esperienza fotografica, il resto rischia di diventare un tema fine a se stesso poci utile! Nonostante ciò, la risposta ai miei tentavi di capire sono sempre uguali...
Oggi sono sempre più convinto che la fotografia del XXI secolo consuma se stessa, non produce altra fotografia. Ovviamente mi riferisco alla grande fotografia di massa, alle riviste specializzate di cui fa riferimento Emanuele, ciò che è a disposizione della stragrande maggiornaza di fotografi amatoriali e la maggior parte dei professionisti.
La cultura visiva che ognuno di noi più o meno possiede e la vita dei social network e dei telefonini fanno si che nasca e si amplifichi il bisogno di immagini
"piacevoli" da guardare. Grossomodo allo stesso modo di come la cultura musicale amplifica il bisogno di ascoltare buona musica… Per far fronte a questo bisogno, potremmo allora procedere in due diversi modi. Potremmo comprare una bella fotografia o farla direttamente noi stessi.
A partire da questo bisogno e dalla sempre più diffusa scelta di
"voler fare una fotografia" (e non comprare una fotografia) porta ad un aumento del consumo.
Tutto ciò che ruota intorno alla fotografia di oggi è consumo. La stragrande maggioranza delle immagini che ci circondano quotidianamente sono riproduzioni, copie, imitazioni, mode o peggio stupidaggini, baggianate, immondizia! Ed allora cosa pensa chi le scatta prima di scattarle? Cosa fa? Una volta se piaceva un'immagine, occorreva chiamare il fotografo, acquistare una cartolina, un libro, una rivista; oggi acquisti una macchina fotografica, reflex o no, un telefonino e l'immagine di qualche anno fa, la riproduce tu, da solo senza il bisogno di nessuno. Esatto da solo. Come?
1. Acquisti una macchina fotografica o un telefonino.
2. Procuri il giusto software o applicazione di fotoritocco.
3. Esporti l'immagine nel formato che vuoi per l'uso che vuoi.
4. 90 volte su 100, pubblichi l'immagine su un social network o più.
Fin qui cosa hai fatto? Hai consumato, hai speso, hai foraggiato il commercio ed il business che sta dietro all'immagine che cechi di cui senti la necessità di possedere.
...e che c'è di male?
Nulla!
Tutto perfetto, per lo meno apparentemente.
Cosa succede poi?
90 volte su 100 succede che chi ha scattato la foto crede di avere veramente fatta lui, come suggerisce
Ando Gilardi, come se chi avesse comprato un cd e lo avesse ascoltato pensasse che lo abbia inciso lui stesso, o come chi avesse comprato un quadro, una volta appeso alla parete pensasse di averlo dipinto lui.
(...)il fotoamatore quando fotografa non produce un'immagine ma la consuma. Cosa c'è di male. Consuma pellicola, carta sensibile, attrezzature e alla fine logicamente consuma il risultato. (...) La consuma, ne gode e soddisfa un nobile bisogno culturale. Questo è lodevole, ma se crede di averla fatta diventa paranoia. (...) Miliardi di immagini rappresentano un consumo fino a quando non sono oggetto di vendita"
(Ando Gilardi "Meglio ladro che fotografo" )
La tesi è drastica, ma è certamente una parte della realtà che ci circonda.
Ed allora mi chiedo... io in questo contesto che faccio? Dove potrei/vorrei collocarmi?
Come ognuno di noi, toccato nel nostro orgoglio, provo ad illudermi dicendomi che non è così, che per me è diverso... ed invece più approfondisco e più mi trovo nel bisogno di consumare fotografia.
L'unica via di fuga che trovo alla tesi di Gilardi, l'unica speranza che possa darmi un senso a ciò che verrà per la mia fotografia è il fotografare per me stesso, per appagare il me medesimo (vd. Chiaramone). Fotografia della mia memoria, fotografare i miei sentimenti, fotografare la mia poesia (o per lo meno, almeno provo, ma il risultato non importa). Insomma ecco che quanto sentito da Enzo Carli, fonda radici teoriche, spiega il perchè anche innanzi la ragione...
il resto? boh! Ancora non riesco a farlo mio!!!
Ovviamente è un convincimento che si fa largo nel tempo e soggetto ad inevitabili mutazioni e sviluppi!
Ad maiora!
Alberto
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