I rischi dell'affezionarsi all'estetica dell'errore, sono sempre dietro l'angolo ed allora bisogna sempre fare molta attenzione e ricercare come al solito verifiche e suffragio in chi sul campo ha "fatto" più di noi e meglio di noi… Studiamo, approfondiamo e cerchiamo di chiederci il perché delle cose! Magari perché no, utilizziamo la storia per fare chiarezza e ricordarci sempre quali sono le strade maestre da non abbandonare. Impariamo a sbagliare, ma restiamo sempre coerenti ai nostri propositi, alle nostre idee di fondo e portiamo avanti una Fotografia più viva, più fervida, meno scontata, ma sempre nel rispetto di quello che intendiamo essere il nostro compito di fotografo… Ad ognuno il suo certo, ma chiarezza d'intenti sempre...
In questi giorni stiamo affrontando in sede il tema del paesaggio, ed allora vi dico io qual'è la verità sul paesaggio…
Noi italiani moderni siamo senza passato, noi dovremmo negare il passato per dimenticare e dimenticare in arte vuol dire rinnovarsi. La distruzione del paesaggio tradizionale che fu inventato dagli artisti del passato è necessaria. Noi non possiamo pensare senza disgusto e con passione che esistono società per la conservazione del paesaggio. Ma i paesaggi che oggi si vogliono conservare non esistono forse sul posto ed in virtù di altri distrutti o trasformati? Conservare che cosa? Imbecilli! Come non fosse infinitamente sublime lo sconvolgere che fa l'uomo sotto la spinta della ricerca, della creazione. Squarciare , sfondare, forare, innalzare per questa divina inquietudine che ci spara nel futuro.
…
Ecco finalmente l'ho detto!
…
Cosa succederà adesso?
…
Mi spiego meglio, prima che inizi a ricevere telefonate minacciose!
L'assunto sopra riportato non è il mio. E non è mia neanche l'idea di spacciarlo come proprio all'inizio di una dissertazione.
Nello specifico,
Giovanni Chiaramonte iniziò così un suo famoso intervento sul paesaggio tra paesaggisti… Vi immaginate la reazione della platea mentre questo signore gli diceva che il paesaggio non esiste, che andrebbe distrutto per costruire il nuovo, etc. etc. O quando poi li chiama "imbecilli". Eppure, attenzione attenzione, l'assunto sopracitato che si potrebbe quasi virgolettare è di un tal
Umberto Boccioni, pittore futurista che nel 1914 scriveva quello che avete appena letto.
Sono passati 100 anni e se un pensiero come quello non viene contrastato sin dall'origine, finisce inevitabilmente per diventare pensiero comune. E quando questo diventa pensiero comune, diventa comportamento e si trasforma in scelte politico economiche. Il risultato? Gli scempi di paesaggio, le cementificazioni, le trasformazioni, gli ecomostri, etc. etc. Benvenuti in Italia!
Boccioni ed i futuristi vedevano l'America come negazione del passato, come paese futurista per eccellenza. In effetti non era così, si trattava solo di proiezioni di uomini, che immaginavano quel luogo in quel modo e lo eleggevano ad esempio, basandosi su dati non reali.
Cosa succede in America in quegli anni?
In quel momento l'Avanguardia americana (Paul Strand tanto per fare un nome) sosteneva che la via dell'arte e della fotografia non poteva seguire la strada dei futuristi italiani. Nel 1922 Paul Strand scriveva:
"attraverso lo scienziato gli uomini hanno consumato un nuovo atto creativo, una nuova trinità, la macchina come Dio, l'empirismo materialista come Figlio e la scienza come Spirito Santo, e nell'organizzazione di questa Chiesa moderna, l'artista non ha giocato una gran parte. Egli si trova oggi nella posizione simile a quella dello scienziato nel Medio Evo, quella di un eretico rispetto ai valori dominanti. Noi non siamo particolarmente vicini all'entusiasmo alquanto isterico dei futuristi italiani verso la macchina. Noi in America non stiamo combattendo come può essere abituata l'Italia a favore di un nevrastenico abbraccio al nuovo Dio. (…) Non solo il nuovo Dio, ma l'intera trinità deve essere assolutamente umanizzata prima che ci disumanizzi. (…) Il fotografo ha riunito le vie dei veri ricercatori della conoscenza, sia ricercatori per la intuitiva estetica, perché la fotografia produce un'immagine che è sempre frutto di un'intuizione e della nostra cultura visiva, sia per quella concettuale scientifica, perché i fotografi utilizzano una macchina".
E quindi si può attraverso una macchina, protagonista della procedura di disumanizzazione futurista (causata dalla macchina in senso lato) generare un fattore di umanizzazione? Basta utilizzare la tecnica e la macchina fotografica non per creare immagini di intrattenimento, fondate sul dato di gradimento del pubblico (mi piace, bella,
) legate come detto più volte già nel corso di questi primi post, ma utilizzarla in altro modo.
Operando come dicono Strand e Chiaramonte, il fotografo così come l'artista devono essere testimoni di una dimensione della vita contemplativa. Come? Attrverso le loro opere. Il fotografo e l'artista sono testimoni dell'umano. Ora ovviamente tutto può essere considerato umano, ma bisogna essere testimone della vita umana contemplativa (da con - templo) ossia guardare il mondo come una cosa Sacra, e custodirlo attraverso le proprie opere.
Allora in America, lo scempio paesaggistico che avviene in Italia non è presente, probabilmente perché quell'avanguardia artistica in opposizione ai futuristi italiani, non faceva attecchire idee
"pericolose".
Adesso, quindi, è chiaro che la varianza che si palesò all'inizio dei secolo scorso, divenne poco alla volta corrente di pensiero e cultura generalizzata. L'idea, i concetti innovatori e rivoluzionari di Boccioni e compagnia, presero via via corpo fino a trasformassi in opinione diffusa. Divenne quello il modo di proporre e proporsi in termini artistici. Oggi viviamo in un momento di massificazione globale entrato ormai in crisi sotto ogni punto di vista. Il modello occidentale è divorato da una crisi battente che si sovrasta da anni. Probabilmente è già in gran fermento il mondo artistico che notoriamente per primo si muove verso quello che sarà. Da qui secondo me la necessità di riprendere a sbagliare. Abbandonare gli schemi socio economici classici, il nostro mondo lo richiede. Allora è forse per questo desiderio di cambiamento che personalmente anche in fotografia alcuni interrogativi mi assillano e richiedono risposte. Imparare a sbagliare allora diventa importante, impellente, quasi necessario. Sbagliare vuol dire voltar pagina, trovare un'alternativa, darsi una traccia ed una direzione… come detto bisogna imparare e sbagliar bene, senza far danni...
…e come sempre sentito non è un caso che Paul Strand realizza
"Un paese" in Italia.
Per ora mi fermo qui… non prima di averVi augurato
Buon Natale