Provo a dare una risposta ad un'opportuna e necessaria domanda.
E nel mentre mi accingo a darla, in tutta onestà, devo avvertire della soggettività e della relatività assoluta della stessa.
Quando ero, in un tempo ormai lontano, un adolescente (uno che si prepara a divenire adulto) fotografavo per necessità, quasi per mestiere.
Poi, imparai a guardare, a vedere ed a leggere le fotografie e, grazie a quest'esperienza - ma anche grazie alla scrittura ed alla lettura di tanti altri segni (plastici, sonori etc..) - ho cercato di capire un poco della mia vita e di quella dei miei compagni di avventura e di poesia.
In tanti anni ho provato a dare una, due, tante risposte esaustive ed invitanti, ma, spesso, dopo un certo tempo, mi si sono rivelate solo arguzie, paradossi, frasi da immortalare, vanità od ovvietà e, quindi, con profonda umiltà ho dovuto riconoscere che fotografavo, e continuo a fotografare, per fare nè più e nè meno che qualcosa di "diverso" laddove, in quel diverso, mi recupero l'etimo di diversità che è comune a quello di divertire.
Qui ed adesso, per venire incontro ad una sincera richiesta, riporto la considerazione del mio amico Roberto Zuccalà (grande fotografo) che dichiara di fotografare (ed io con lui) "per imprigionare nella memoria un momento reale che altrimenti si dissolverebbe nel tempo, nonché materializzare l'immagine di una fantasia che altrimenti ........ non vivrebbe mai".
Ancora una bella frase, quindi. Ma, "in cauda venenum", ci aggiungo un "anche" ( è tipico, ahimé, del mondo adulto l'uso di questa congiunzione).
Saluti, Pippo Pappalardo
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