… “Prima o poi i ricordi si sistemano, trovano un loro ordine. Smettono di accavallarsi, di azzuffarsi, di farsi male.” … Tano D’Amico
Come ho avuto modo di dire ieri sera, Tano D’Amico l’ho conosciuto con un percorso inverso rispetto agli altri fotografi. I fotografi di solito li conosci per le loro immagini, poi col tempo, se ti colpiscono, cerchi di sapere qualcosa di più su di loro: chi sono, cosa pensano…
Tano però è un fotografo diverso per molti versi: è schivo, non si fa pubblicità, non ama esporre la “bella” foto o la foto fine a se stessa, ha attraversato momenti bui nella sua vita, è un fotogiornalista e come tale pubblica le sue foto sui giornali, quelle stesse foto che guardiamo ogni giorno senza chiederci chi o perché le ha fotografate, troppo presi dal contenuto del discorso cui si riferiscono, nelle quali il nome del fotografo spesso non viene neanche riportato.
Così nelle mie navigazioni libere sulla rete sempre alla ricerca di un perché, mi sono imbattuto in un’intervista a Tano D’Amico. Così l’ho conosciuto la prima volta. E, devo dire, mi colpì molto.
Mi colpì per le risposte schiette, per i pensieri profondi, ma soprattutto per un'empatia manifesta per il prossimo. E’ soprattutto verso i meno fortunati, verso le folle in lotta, gli operai, gli zingari, che si rivolge più pienamente la sua empatia. Come dice lui stesso verso coloro i quali non vivono la vita come una grande torta cui manca solo la ciliegina. Così la sua fotografia non ci offre quella ciliegina, ma lacrime e sangue, carne e ferite, ma anche, per la prima volta in quel periodo, la bellezza dei vinti, dei deboli, degli oppressi. Come dice Wim Wenders (nell’incipit del suo libro “Una volta” – Ed Socrates, qualcuno ieri sera me lo chiedeva, ma non ricordavo il titolo): quando il fotografo scatta la sua fotografia (shoot in inglese è sia scatto fotografico che sparo) ne riceve il contraccolpo, come quando si spara con un’arma da fuoco, quel contraccolpo è l’impronta del pensiero del fotografo, la sua personalità, le sue scelte politiche e sociali, che si vedono nell’immagine che ha scattato. Bene io tutte le belle parole di Tano le ho ritrovate nelle sue immagini, così come ieri sera le sue belle immagini le ho ritrovate nelle sue parole di buon oratore e narratore, oltre che fotografo. Fotografo impegnato, politicamente dichiarato, ma rispettoso della controparte, ha dedicato buona parte della sua vita a essere “dentro” gli avvenimenti da quei mitici anni ’60 e ’70 (attività che continua fino a oggi) e a riportare a noi la visione di un’epoca che altrimenti avrebbe potuto essere dimenticata o fraintesa nelle rivendicazioni e negli ideali, nell’entusiasmo, nella generosità dei giovani e meno giovani di un periodo che ha fatto la nostra storia. Si è perso per strada e si è ritrovato grazie anche all’aiuto degli zingari, ai quali ha anche voluto offrire una testimonianza propria, col suo sguardo fotografico attento ai sentimenti ed al sentire dell’”altro”, raccontando per immagini le loro vite e le loro tragedie. Insomma un “buon” fotografo, ma anche un animo generoso.
… Una bella fotografia di reportage è un paradosso che non ho mai capito. Nasce perché il fotografo l’ha creata, l’ha aspettata, l’ha capita, l’ha fatta nascere proprio in quel luogo, proprio in quel momento, in quell’istante, in quella situazione.
E se quella fotografia vive, continua a vivere, ha vita propria è per tutto quello che l’allontana per tutto quello che va oltre quel posto, quel luogo, quel momento, quella situazione.
Per tutto quello che l’allontana dal suo significato letterale. Può essere relativamente facile produrre immagini che si reggono sugli avvenimenti. E’ molto difficile realizzare immagini a cui gli avvenimenti stessi si reggono nella memoria. Rimangono nella memoria costruiscono la nostra memoria. Ai miei maestri dobbiamo le immagini che fanno la nostra storia ma a loro non bastava. Non erano felici. Non erano soddisfatti. … Tano D’Amico
Altri importanti personaggi della fotografia siciliana hanno completato e arricchito il dibattito della serata: Giuseppe Leone, fotografo; Roberto Strano, fotogiornalista; Cosimo Di Guardo, fotografo; Pippo Pappalardo che ci ha offerto una splendida presentazione, certo migliore e più articolata della mia, e che ha condotto magistralmente il dibattito della serata; ultimo, ma non meno importante: Salvo Canuti, fotografo, che ha splendidamente, come sempre, introdotto la serata e presentato gli ospiti. Molti altri erano più o meno anonimamente presenti in sala.
Spero che abbiate gradito la serata quanto me e che abbiate serbato dei buoni... ricordi!
Un saluto a tutti
Emanuele Canino
PS: prima o poi vi posterò qualche foto, anche se ne ho già viste alcune su facebo
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