Giugno, tempo d’estate, tempo di vacanze, tempo d’esami, tempo di bilanci, tempo di… fotografia!
E potrei rilanciare con molti altri “tempi” ancora, incluso quello di Jovanotti e “il tempo nella fotografia” o anche la fotografia nel tempo, che ci starebbe pure, visti gli opuscoli che Licio ha portato ieri sera che ci hanno fatto fare un passo indietro ai gloriosi anni ’90 - ’91- ’92 dell’ACAF.
Tempo di bilanci dicevo, quelli che i corsisti hanno sicuramente fatto ieri sera alla conclusione di un anno passato a parlare di fotografia ed a fotografare. Ad imparare tecniche ed a pensare alla fotografia o forse ad imparare a pensare fotograficamente. Così consegnati i fiammanti diplomi, mostrati i lavori al pubblico, mangiati i dolci è tempo di decidere se continuare a frequentare la grande famiglia ACAF e magari continuare a imparare ed a discutere di fotografia o proseguire con le proprie gambe autonomamente. Certo se qualcuno fosse veramente interessato alla fotografia il mio consiglio sarebbe di affidarsi ad un circolo e per vari motivi, ma ognuno segua liberamente le proprie inclinazioni. Io, da appassionato di fotografia, rimpiango, col senno di poi, di non aver conosciuto prima l’ACAF che tanto mi ha permesso di crescere fotograficamente da quando l’ho scoperta.
Tempo di bilanci anche per meditare sulla nostra terra e per ricordare, attraverso una bella diaproiezione, vent’anni dopo (come direbbe Dumas, tempi tristi e agitati anche quelli), la tragica morte di Giovanni Falcone. Le fotografie di Fabrizio Villa (oggi apprezzato fotoreporter del quale potete ammirare in questo mese una mostra presso la Feltrinelli di Catania) e Sergio Fichera, sottolineate da una sapiente colonna sonora, ci hanno mostrato ciò che non poteva essere mostrato. Non la diretta visione delle crude immagini del sangue e della morte, ma indirettamente, la violenza dell’esplosione (attraverso i segni tangibili lasciati sulle cose, sugli edifici e sui mezzi), il cordoglio ed il dolore (attraverso le testimonianze e i messaggi dei cittadini e dei parenti), la perdita per la Sicilia e per il Paese, la sconfitta. Di tutto rimane la fotografia, forse un monito.
Gesualdo Bufalino, ne “II Guerrin Meschino”, alle date 23 maggio e 19 luglio 1992 chiudeva per lutto la sua “opra dei pupi”.
Calando la tela sul sipario del teatrino lasciava Guerrino solo, a sbrogliarsela con le tenebre, sul ciglio dell’abisso apertosi su una “Sicilia santa, Sicilia carogna, Sicilia Giuda, Sicilia Cristo… Battuta, sputata, inchiodata palme e piedi a un muro dell’Ucciardone, fra siepi di sudari in fila …sull’asfalto, di zolfo e cordite”.
“No, non verrà Guerrino a salvarla / con la sua spada di latta / a cavallo di Macchiabruna … / Nessun angelo trombettiere / nel mezzogiorno del Giudizio / suonerà per la vostra pasqua / poveri paladini in borghese, / poveri cadaveri eroi, / di cui non oso pronunciare il nome… / Non vi vedremo mai più sorridere / col telefono in una mano / ed una sigaretta nell’altra / spettinati, baffuti, ciarlieri…/ Nessuna mano solleverà / la pietra dei vostri sepolcri… / Nessuna schioderà / le bare delle maniglie di bronzo …. / Forse solo la tua bambino” (Pippo Pappalardo)
Siamo noi quel bambino? Si e ci chiede ancora Pippo Pappalardo. Non so dare una risposta, ma sempre più spesso chiediamo aiuto a quel bambino che abbiamo sepolto molto, troppo, in fondo al nostro animo. Forse a cercare un’innocenza perduta, una capacità di sognare, una spavalda voglia di combattere che gli adulti sembrano, rassegnati, avere ormai perduto. Se c’è una cosa che con l’età aumenta è, paradossalmente, la paura, forse perché si perde quella incoscienza del fanciullo, forse perché si prende coscienza della morte, forse perché secoli di dominazione ci hanno geneticamente piegato alla rassegnazione.
Ma non vogliamo piangerci addosso e così un altro diaporama ci tira su e ci porta a meditare su un’altra Sicilia, quella della “festa”, dei botti, della devozione, di tradizioni antiche. Così le immagini di Salvo Cavalli, LelloFargione, Mary Indelicato, Carlo Sammartano, Simone Sapienza, Damiano Schinocca, ci conducono nel pieno della festa di San Sebastiano che si svolge a Palazzolo Acreide il 10 di Agosto di ogni anno (chi vuole può andarla a vedere dal vivo). Tra folla, botti, voci concitate, il passaggio di mano in mano dei piccoli nudi, offerti per la benedizione del santo, decorati con offerte votive in denaro, le donne a piedi scalzi, le migliaia di devoti, le ciambelle di pane votive offerte al santo: le “cuddure”, lo sparo dei mortaretti e il lancio di migliaia di "nsareddi" (striscette di carta multicolori lunghe 2 m), avviene la suggestiva "sciuta" (uscita) del Santo e della reliquia portati a spalla nuda per le strade della città. Anche questa è Sicilia e non solo “Mafia”. Cultura antropologica, memoria storiografica, di tradizioni che vanno scomparendo. Voglia di ridere, di festeggiare, forse … di dimenticare.
Buone vacanze… meditate…
Emanuele.
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