Ieri sera ho conosciuto Fia, fotograficamente intendo. Conoscevo quella che sembrava essere una bella ragazza, un po’ timida, riservata. Che si affacciava al mondo della fotografia da corsista, che esprimeva timidamente delle idee, che parlava poco e nel complesso sembrava voler tenere un basso profilo. Ho ritrovato una fotografa col “dono”. Si, il dono! Perché parliamoci chiaro, ci sono persone che migliorano giorno per giorno, che studiano, che progressivamente imparano e raggiungono dei buoni risultati, anche. Altre, invece che, loro malgrado, non imparano mai. E poi ci sono persone (molto più rare) che prendono una macchina fotografica, fanno un corso di alcuni mesi e … paff! Eccola la: la foto!
Insomma è un po’ la vecchia storia di Mozart e Salieri. Va be’ ora non sto dicendo che Fia sia il Mozart della fotografia, ma che ha il dono, questo si. Per dono intendo una capacità di vedere fotograficamente, che non dipende dalla cultura o dalla scuola (che semmai affinano), ma innata. Il dono è ciò che fa procedere a balzi, la dove altri procedono con cautela. Qualcosa di innato, che si ha o non si ha, punto.
Ieri sera, purtroppo, non ho potuto vedere bene il lavoro di Fia: ero in fondo, con mio figlio in braccio (le circostanze mi hanno dato l’onore e l’onere, di doverlo portare con me ed è stata una bella esperienza per entrambi, come tutte quelle che ci portano a conoscerci ogni giorno un poco di più, ma questo è un altro discorso…), ma quello che ho visto mi è piaciuto. Anche alla luce delle dritte che Alberto, seduto accanto a me, mi dava sottobanco: “è cresciuta in pochissimo tempo, sai?” … “ho visto i suoi lavori in galleria progredire a ritmi sorprendenti” … “hai visto?…”.
Si, ho visto. Ho visto un bel bianco e nero, non troppo esasperato, senza bianchi troppo bruciati e con delle belle gradazioni di grigi giù giù, fino al nero profondo. Ho visto qualche piccolo inciampo da inesperienza, ma anche un sapiente gioco di primi piani e di sfocati, di prospettiva e composizione, di taglio e inquadratura. Ho visto dei tagli netti, delle trovate interessanti, dei ritratti intensi, dei bei giochi di luce. Ho visto riproporre ciò che da qualche tempo ho maturato e che Alberto vi faceva così bene notare nel suo scritto, non più tardi di una settimana fa’: la necessità di avvicinarsi al soggetto e di essere compenetrati nell’umanità di chi vogliamo fotografare. Empatia. Certo in queste circostanze è più facile avvicinarsi al soggetto (che è più ricettivo alle nostre istanze) e a volte gli vieni quasi spinto contro fisicamente, ma ciò non toglie e non prescinde una precisa volontà ed una capacità di essere “dentro” la festa, vis a vis col soggetto, face to face. Ho visto una bella fotografia, insomma. Mi sovvengono, a mo’ d’esempio, una bella diagonale d’incappucciati bianchi, in piena luce, che si dirigono verso l’ombra, oppure un busto di ragazzo, agghindato e decorato per la festa, senza testa e dunque senza volto, e per questo icona e rappresentanza di tutti gli abbigliati in festa, ma che allo stesso tempo non un “decapitato” (non è così semplice, neanche da dire). Tutto ciò mi ha colpito ancor di più perché inaspettato, perché, come dicevo all’inizio, non conoscevo Fia fotograficamente. Certo l’avevo vista, ci avevo parlato ed un po’ l’avevo anche inquadrata nella psicologia: quella timidezza che ho ritrovato tutta nel profuso rossore delle guance e nella voce un po’ tremante (solo all’inizio in verità). Ma l’ho trovata anche insospettatamente determinata e volitiva, come solo le donne sanno essere.
Infine un apprezzamento, concedetemelo, a quella che, non vorrei fare delle gaffe, mi sembra di aver inquadrato come la sua famiglia, per averla supportata (e sopportata) così bene.
Forse altri avrebbero minimizzato, ridicolizzato, invitato a lasciar perdere. Si sarebbero infastiditi nel vedere tanta energia e tanto tempo dedicati (o forse avrebbero detto: sprecati!) nella preparazione di questo lavoro. Altri, forse, avrebbero tarpato le ali a chi, come Fia in questo caso, ma la prendo solo ad esempio, vorrebbe trovare solo un modo di esprimere qualcosa che ha dentro, una sua “strada”, un suo linguaggio. E ce ne sono tanti, mariti o mogli, ma anche padri e madri, pronti a soffocare, a opprimere, queste istanze, queste necessità interiori, profonde. Ed è triste che questo avvenga talora, generando frustrazioni e rimpianti. Come bello, invece, è vedere il contrario.
Mi fermo qui non vorrei esagerare, né scatenare il “blocco del fotografo”: quella sindrome che colpisce chi, avendo raggiunto dei buoni risultati, incontra poi la paura a confrontarsi di nuovo con se stesso, la paura di non saper essere di nuovo all’altezza. Ricordo a Fia, lo ricordo a tutti, che: primo è solo un gioco e secondo ognuno di noi ha alti e bassi, momenti in cui si esprime meglio ed altri invece no (soprattutto all’inizio, ma non solo), volte in cui è compresi ed altre no e così via. Se ci capita non scoraggiamoci avremo certo altre occasioni per metterci alla prova.
In ultimo non posso tralasciare di ringraziare Salvo Canuti per le bellissime parole indirizzate a Pippo Pappalardo, ad Alberto Castro, nonché al sottoscritto. Mi era già sufficiente sapere che qualcuno leggesse, per lo meno, ciò che di volta in volta la mia mente strampalata vi propina. Che qualcuno anche lo apprezzasse era al di la delle mie più rosee aspettative. Mi corre obbligo però schernirmi (anche per non andare incontro al blocco dello scrittore, in questo caso) che la mia cultura, al di la delle generose parole di Salvo, è, ahimè, alquanto limitata (niente a che vedere con il nostro Pippo Pappalardo), solo una certa qual insospettata vena poetica che a volte travalica, mio malgrado, nello sdolcinato, commosso e talora melanconico, unita, questo si, a una sincera passione e ad uno smodato uso di internet, mi portano a scrivere qualcosa che poi, rileggendola, mi domando da dove sia venuta fuori (nel bene e nel male) e se veramente l’ho scritta io. Senza falsa modestia posso dirmi soddisfatto di alcune cose che ho scritto per l’ACAF (meno di altre, ma va bene lo stesso), spero di riuscire a scriverne altre, anche migliori, se possibile.
Spero infine (last but not least) di riuscire a fare anche delle belle foto! Ci sto lavorando….
Felice di essere al vostro fianco,
Emanuele
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