Come in uno specchio…
“Quando le porte della percezione si apriranno, tutte le cose ci appariranno per come veramente sono: infinite. (William Blake)
E fino ad allora cosa faremo? Dovremo accontentarci di una visione parziale? Incompleta?
L’altra sera, alla Vecchia Dogana, ero partito dal mito di Medusa e dallo scudo di Perseo, ma la voce di Mina, supportando le immagini degli amici Barbera, Lombardo e Sallemi, riprendeva le parole di Teresa d’Avila “Nada te turbi, nada te espante” - niente ti turbi e niente ti spaventi- che, forse, rispondevano meglio a queste domande.
Ho interpretato, allora, - e ve ne sarete accorti -, quell’’espressioni, e l’audiovisivo che commentavano, come una metafora grazie alla quale il nostro procedere fotografico si fa atteggiamento esistenziale per accogliere e comprendere “il reale attorno a noi e dentro di noi”.
E, quindi, ancor quando la realtà ci possa apparire difficile da percepire, ciò nonostante, la nostra volontà di capire - e di mettere in comune il risultato di questa comprensione - può darci il “segno” di questo sforzo.
Ma se abbiamo il segno, disponiamo allora di qualcosa che ci aiuta a capire, ad uscire dalle tenebre o, peggio, dall’indifferenza. Abbiamo come una prova. Possiamo, insomma, tornare dentro il buio del nulla e dire, risolutamente, “Io sono qui. Voi dove siete?!”
Al catechismo cristiano mi hanno insegnato che siamo stati “creati ad immagine e somiglianza”. Nel vangelo apocrifo di Filippo ho, poi, piacevolmente incontrato “un Logos che s’incarna anche in immagine e verità”. E ripenso a Paolo ed alla sua constatazione: “adesso vediamo COME IN UNO SPECCHIO, ma, poi, riusciremo a vedere per come siamo conosciuti” (lettera ai Corinzi).
Questa è Pasqua, o almeno lo è per me.
Ma, consentitemi, è un “per me” fotografico che intendo pur sempre comunicare, mettere insieme, al di là delle fedi e delle convinzioni personali, perché ho desiderio di confidarvi quest’esperienza, e scambiare la reciproca visione, desiderando, appunto, fare Pasqua con voi. (PIP.PAP)
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