Impagabile come sempre il nostro avvocato Pippo Pappalardo nell'illustrarci, questa volta, il grande Franco Fontana. E se lui si ripara vezzosamente dietro la scusa che non ha più la voce di un tempo per parlare a lungo, è pur vero che ci ha intrattenuto per due ore di seguito, senza soste e senza tracce, parlando a braccio, dalla teoria dell'immagine fotografica alla personalissima visione che Fontana offre del reale nelle sue immagini.
Pippo inizia il suo discorso illustrandoci il rapporto tra reale e immagine fotografica, passando attraverso l'elaborazione del comunicante (fotografo). Il comunicante estrae dal reale una porzione ne fa un segno perché possa essere parte di un codice e quindi trasmettere un messaggio che sia recepito e conosciuto da un recettore, allora abbiamo una realtà che interpretata dalla sensibilità del fotografo viene trasfigurata in un messaggio o in un documento o in un’espressione artistica per essere infine fruita dallo spettatore, fruitore finale.
Esiste, è sempre esistito, un nesso di consequenzialità tra il reale e l'immagine fotografica, per cui la seconda non può esistere senza il primo. Ne deriva la tendenza a identificare la fotografia col reale e a conferirle una capacità di certificazione che non è data ad altre arti grafiche. Da ciò la critica posta negli anni alla fotografia di essere mera riproduzione del reale, copia pressoché immodificata dall’operatore, e come tale non opera artistica. Fontana ci dimostra, ancora una volta, che così non è.
Nel periodo in cui Franco Fontana inizia il suo lavoro, la fotografia era principalmente collegata al campo del reportage e della documentazione. Fontana riesce a trovare una sua personalissima via di esplorazione del reale e scardina i comuni cliché fotografici. Utilizza la fotografia per stupirci e confondere i nostri sensi, sfidandoci a riconoscere il reale, trasfigurandolo in immagini quasi astratte per le deformazioni prospettiche (schiacciamento da teleobiettivo e punto di ripresa insolito), cromatiche (ipersaturazione e accostamento di colori complementari) e percettive (mancanza dell'elemento umano, forti contrasti luminosi, ombre nette, particolare attenzione allo studio della luce). Le immagini di Fontana esclusivamente a colori, sono ipersature e fortemente geometriche, mentre il paesaggio perde la sua connotazione e la figura umana scompare o viene rappresentata in maniera indiretta (Presenzassenza).
Mi piace dire, parafrasando Proust, che Fontana non ci mostra cose nuove, ma che ci mostra il mondo con occhi nuovi; ci rende consapevoli che esiste un modo diverso di guardare il mondo che può sfuggire a uno sguardo superficiale, ma che se cercato ci offre visioni del tutto nuove. Fontana riesce a trovare questa sua strada e ne fa uno stile personale che lo accompagnerà per tutta la carriera di fotografo.
Come per molte grandi intuizioni una volta aperta la strada può essere facile percorrerla e imitare il suo creatore, eppure in questo caso molti si sono cimentati, ma pochi sono riusciti a raggiungere i vertici di Fontana.
Il grande merito di questo fotografo è di aver trovato una sua visione originale e di aver saputo trovare anche la giusta tecnica per rappresentarla ai massimi livelli, il limite, a mio modestissimo parere, è quello di essere rimasto intrappolato per sempre in questa sua visione.
Buona luce a tutti.
Emanuele
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