Come una metafora del buon lavoro realizzato in quest’anno sociale giunge il contributo, intelligente quanto opportuno, dei soci Francesco Fichera e Marco Gallucccio, circa la scelta di fotografare secondo una scala di toni alti o di toni bassi.
Come giustamente hanno segnalato entrambi i nostri amici, prima di caratterizzare la “nostra visione fotografica” occorre capire se le risorse del nostro strumento vanno in consonanza con le nostre ambizioni o, quantomeno, con le nostre aspettative.
Diamo per scontato che lo siano e diamo pure per scontato la possibilità di poter cambiare in ogni momento idea su quanto intravisto.
Ed allora, ci dicono i nostri amici, occorre, prima di organizzare la scala della nostra luminosità espressiva, capire, anzi scegliere, il baricentro della nostra luminosità interiore.
E una volta afferrato o traguardato quel baricentro, deciderci se riprendere la scena del mondo seguendo la regola programmata a tavolino, o trasgredirla deliberatamente, oppure perseguirla alla ricerca di un possibile ulteriore senso, di un’auspicata armonia cromatica.
Gli strumenti odierni, invero, rimangono in attesa della nostra libera scelta piuttosto che della nostra creatività; possiamo con un tasto selezionare il bagliore oppure l’ombra, l’alone di luce come il sopraggiungere della tenebra, il nero più catramoso come il bianco più bruciato. Ma se vogliamo, se cerchiamo proprio quell’atmosfera ascoltiamo il duo Marco e Ciccio.
Tutto questo ci rimanderà all’abc del fotografare e diventerà pretesto per elogiare la latenza dell’immagine, il suo voler affiorare, emergere e farsi rappresentazione per condividersi in un’emozione.
Una metafora, dicevo.
Tanti martedì - tra confronti, dibattiti, polemiche (quelle sempre, vivaddio) -. a toni alti e a toni bassi; perché per venire alla luce occorre vincere il buio, occorre capire di che materia è fatto quel buio, quella luce, quel vuoto o quell’immagine, che magari talvolta è racchiuso/a tra le nostre mani congiunte.
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