Francesco Licandro ci ha egregiamente riportato le emozioni da lui provate visitando la mostra palermitana su Robert Capa.
Il nostro socio e amico, muovendo da questa esperienza personale, ha voluto arricchire la sua e la nostra conoscenza del celebre fotografo cittadino del mondo, promuovendo un’apposita serata, corredandola opportunamente con immagini e memorie d’interviste.
Poi, ci ha confidato come di là delle epopee del fotogiornalista il dato che gli è sembrato sorprendente sia stato la scoperta (in capo al fotografo) di una raffinata capacità compositiva frutto di tanta esperienza e di tanti confronti. E, aggiungiamo noi, della conoscenza diretta di quanto fotografava anche quando questa conoscenza si chiamava guerra, fame, miseria, lotta politica.
Opportune tra le tante immagini, sono apparse il celebre servizio su Trotskij, la guerra di Spagna, con la vessata quaestio della veridicità dell’immagine del miliziano colpito, lo sbarco alleato in Sicilia, quello in Normandia, la liberazione di Parigi, la guerra arabo-israeliana, quella nell’Asia orientale dove il nostro fotografo ci lascerà la vita.
Tra tante immagini, tanto desiderio di pace.
Tanta volontà di raccogliere un sorriso, di allontanare la paura, di confortare il lutto, di contemplare una donna, magari per dimenticare - tra una bottiglia e una scommessa d’azzardo- il volto amato di Gerda Taro, come lui fotografa, schiacciata involontariamente da un carro armato.
Francesco Licandro, con oculata scelta e convinta adesione, ci ha raccontato il mito del fotografo di guerra.
A centocinque anni dalla sua nascita anch’io avverto l’urgente bisogno di Capa di raccontare la guerra per custodire la pace.
E anche per questa serata io mi sono guadagnato il mio quarto d’ora di antipatia (mai toccare i mostri sacri!).
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