Un tavolino vo' cercando .....
E se provassi a penetrare “in corpore vili”?
E così, come dice Catarella, di pissona, pissonalmente, sono andato a sedermi presso un Bar di piazza Duomo (non dico il nome perchè pare che voglia fare pubblicità interessata), e mi sono seduto in un tavolino che ha festosamente accolto la mia macchinetta fotografica.
Non era dello stesso avviso il cameriere che già lo vedeva occupato dal cd. aperitivo rinforzato (per il sottoscritto, ignorante delle cose del buon mondo, un’assoluta novità).
In attesa dei “rinforzi” ho posato la macchina sul piano del tavolino, pronta allo scatto automatico; ma, così facendo, mi sono precluso ogni possibilità di fotografarlo; però, potevo fotografare gli altri tavolini; dovevo decidere solo la direzione dello sguardo; potevo optare per l’Elefante ed il Municipio, per il Duomo o per l’Amenano.
Tra me e me consideravo quanto fosse bella Catania, da qualunque lato mi girassi; ed ero contento anche per i suoi tavolini.
Il nero basolato lavico, a poco a poco, si andava colorando delle ombre della sera e quelle medesime ombre si popolavano dei giovani protagonisti della movida etnea; C’era solo l’imbarazzo della scelta: i miei tavolini incrociavano fruscianti minigonne, bambini sorridenti, occhi che mi guardavano sperando che liberassi il tavolino occupato per mangiarsi un buon gelato.
Si svegliavano dentro di me i racconti di Brancati e del gallismo catanese, lo struscio dei Dongiovanni siciliani e degli eterni “ingravida balconi”.
Ma volevo fotografare e non sognare. Allora ho cambiato prospettiva ed ho guardato alla gente seduta ed ho scoperto i camerieri, i baristi e tutta quella piccola grande economia su cui gira l’esercizio di un bar.
Non volendo fotografare il loro lavoro mi sono concentrato sulle loro eccentricità, sulle loro debolezze di gusto, sulle cadute di tono, sull’affiorare del provincialismo, e, quindi, sui capelli assurdamente tagliati (si fa per dire) dei camerieri più giovani, sul candore “vissuto” di certe divise, sui fiori di plastica e sui concorrenti dei tavolini ovvero …. le carrozzine dei neonati.
Mi sono immaginato, allora, una storia d’amore, un flirt, tra una carrozzina ed un tavolino: immobile lui, sbarazzina e peripatetica lei.
Lei: “ Su di te solo cocktail, americani, gin fizz profumati e colorati; su di me tracce di moccio, bava, latte e borotalco”
Lui: “Però tu porti tenerezza, speranza, bocche che vogliono baciare prima ancora di mangiare. Io invece, su di me, vanità, soldi (pochi), e colpi di spugna (tanti)”.
Non so come finirà la storia. Se son rose fioriranno.
Più avanti, su un altro tavolino, intanto, una coppia di turisti ha dispiegato una cartina dell’Etna occupando tutto lo spazio disponibile; il cameriere intanto è giunto con le ordinazioni ma è rimasto in piedi, con in mano i rustici fumanti; la situazione si è fatta comica anche perché il cameriere ha voluto dissuadere l’ascesa al cratere con la scusa che poteva eruttare lava e prendere fuoco come il suo piccolo vassoio.
Sarebbe occorsa una sequenza e il mio piccolo apparecchio era già in riserva.
Tornando a casa, in un piccolo anfratto, una serie di tavolini e di sedie di bar, stavano stretti assieme e, per di più, incatenati (magari per dissuadere qualche ladruncolo). Opportunamente ripresi, illuminati, disposti, e sottolineati, si prestavano per qualche intuizione metaforica (soprattutto per la presenza delle catene …); ma ormai la mia vescica reclamava un perentorio ritorno a casa e, così, ho perso lo scatto migliore.
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