Sono stato invadente, curioso, forse anche petulante; insomma ho tormentato non poco il soggiorno dell’amico Cresci durante le giornate di lavoro dell’ACAF.
Col senno di poi, riconosco di avere abusato della sua confidenza e disponibilità, di avere appreso tanto e di avere ricambiato con assoluta modestia tanta abbondanza di cortesia.
A distanza di qualche giorno, ritornando sul senso della sua esperienza, sulla sua opera, sui suoi libri, sui suoi progetti fotografici ultimati o in itinere, sui fotografi italiani conosciuti e su quelli stranieri, ho tirato qualche conclusione che, per adesso, provo a sottoporvi in maniera schematica:
- il dibattito intorno alla fotografia (la sua ontologia, la sua natura segnica, la mimesis e quant’altro) si va spostando sulle risorse espressive e, così, contamina i risultati e le esperienze di altre forme artistiche con quelli che Eco chiama “artefati semiotici”, laddove proporre ed esprimere le risorse e le capacità dello strumento e la connessa letteratura (e quivi piazzo anche le considerazioni-lezioni che opportunamente ci propina il nostro Alberto);
- l’aspetto assertivo e documentativo del reale coinvolge sempre meno la ricerca che, in tal senso, semmai, vede il gesto fotografico piuttosto come un “carotaggio geologico” (il nostro Mario ha apprezzato questa mia definizione), come un reperto sul quale, a posteriori sviluppare la nostra indagie conoscitiva ed esperienziale;
- conseguentemente il testo formulato fotograficamente diventa un piano di lavoro e di speculazione assai più interessante della fredda analisi semiologica;
- certamente la rivoluzione digitale e la velocità del web hanno di molto attenuato le tradizionali fascinazioni del medium, incrociandole (vedi la testimonianza di Toni Gentile) con altre forme di rappresentazione;
tutto ciò non indebolisce il nostro diletto, la nostra intelligente passione: purchè non si stia dentro il solito cerchio, purchè si provi a indagare oltre i generi tradizionali; magari sfruguliando più dentro di noi e lontano dalla pletora d’immagini più o meno osannate, sapendo che c’è ancora tanto mondo.
Ed allora come diceva Dalla: “sono pronto, dove andiamo?” (Itaca).
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