Dario Lo Scavo
L’incontro con il fotografo etneo è stato per il sottoscritto la simpatica occasione per riabbracciare un amico che ho imparato ad apprezzare proprio quando, in un tempo ormai passato, e decisamente meno pigro di oggi, mi muovevo, in giro per l’Italia, nel desiderio di incontrare i grandi della fotografia e scambiare con loro le mie idee, e confrontarmi con le loro ambizioni.
Ero al Photo-Show di Milano per promuovere la rivista alla quale ancora collaboro, cioè “Gente di Fotografia”, ed avevo finito di parlare con il compianto Mario De Biasi che era venuto, bontà sua, per conoscermi. Accanto al nostro modesto stand, con attenzione e assoluta dignità, andava allestendo il suo spazio, il nostro amico che ancora non conoscevo come siciliano e come fotografo.
Man mano che tirava fuori le immagini e le collocava alle pareti, io e l’amico Carlisi riconoscevamo qualcosa di nostro: era l’eco di una fiaba che parlava delle stagioni della nostra montagna, era la filastrocca dei paesini etnei, era la ninna nanna di neve e di fuoco di nostra madre Etna, o se volete di nostra sorella, della nostra amante, di nostra figlia.
Dario ci stava mostrando, da siciliano a siciliani, qualcosa da lui amato profondamente, e ci invitava a conoscerlo fotograficamente attraverso le sue immagini perché provassimo ad amarlo come lui.
Adesso, e qui, voglio ricordarlo come il fotografo dell’Etna per eccellenza della sua generazione, e, quindi, di qualcuno che ha da tempo digerito la grande lezione di Sellerio e di Leone, che ha guardato con attenzione i lavori di Saffo, Garozzo, Zinna, Bongiorno, Parrinello, senza attardarsi, però, nel confronto sterile e antagonistico con questi professionisti, e si è immerso in un fotografare la montagna laddove il reperto scientifico o il documento geologico è stato piegato più che alle ragioni del paesaggio a quelle, più misteriose, della poesia.
Poi, un giorno, davanti ad un piatto di “mussi i voi”, - eravamo a “Quota Mille”, ricordi -. mi cominciò a parlare della sua libera attività di reporter, di luoghi lontani, d’incontri difficili, pericolosi, laddove l’immagine scompariva come poteva scomparire la vita: ed anche lì l’incantesimo della scoperta, dell’incontro, della sorpresa.
E tutto il resto, direte voi? E cioè l’idea di una montagna patrimonio UNESCO, la tutela dell’ambiente, la politica, i popoli lontani, l’integrazione, lo scambio, la globalizzazione?
Soffermiamoci sulle sue immagini: c’è già tutto e se non lo troviamo pensiamo a Salgado, e con quella guida visiva ci verrà facile trovare quel che cerchiamo.
Anche perchè l’occhio di Dario è un occhio attento, che sa farsi memoria, tramutarsi in racconto, suggerire un’emozione, un brivido: l’ha imparato sull’Etna, a Piano Provenzana e dintorni.
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