Circa un anno e mezzo fa, condividevo un
“bilancio” personale.
Per chi è curioso si trova qui:
http://www.acaf.it/new/index.php?option=com_fireboard&Itemid=2&func=view&id=7414&catid=8
Rileggendomi, mi sembra di aver già all’epoca affrontato e risolto a modo mio tante problematiche, risposto a tanti interrogativi e conseguentemente imparato tanto. Come sempre però, c’è sempre molto di più da imparare e parecchio altro da sperimentare.
Se il 2012 è stato un anno importante, ripenso al 2013 come un anno cruciale.
Il 2013 mi ha portato altre scoperte, nuovi approfondimenti e riflessioni, interrogativi e risposte. Cambia forse il quartier generale, non più all’interno di un Saloon, e si allarga il gruppo dei maestri e dei confidenti, ma si setaccia ugualmente il raccolto della vita e restano altre importanti conquiste fotografiche e non, piacevoli e spiacevoli esperienze di vita, tutte però finalizzate a crescere e migliorare… ed in questo caso a migliorare attraverso la fotografia.
Succede allora che impegnandosi si cresce e come dicevo martedì scorso si cresce attraverso le nuove scoperte, ma senza dimenticare le lezioni e le conquiste precedenti, finendo così per arricchire il proprio bagaglio. La fotografia è giovane, ha solo 150 anni… se ci pensate l’Acaf ne ha quasi 30 ed ha vissuto 1/5 della vita intera della storia della fotografia. Io continuo ad essere in rincorsa alla ricerca continua di colmare le mie grandi lacune fotografiche dipendenti dal mio poco tempo dedicatovi durante la mia vita. Di fatto io ho solo 1/37 dell’età della fotografia. Tuttavia rispetto a quanto finora fatto credo che anche io possa oggi guardarmi dietro e ripercorrere la strada attraverso le briciole di pane lasciate durante il tragitto. La cosa che più mi colpisce è che mi rendo conto di come oggi inizi ad avere delle mie idee in merito a diverse questioni. Ho acquisito insomma un minimo di senso critico oltre che autocritico. Ecco allora che il
“politicaly correct” specie se riferibile in un ambiente per lo più ricco di amici, viene meno a guadagno di un sincero ed onesto confronto. Il confronto intellettualmente onesto è indispensabile alla critica.
Concordo con te Pippo, il confronto è stato acceso, ma onesto e sincero, quindi che ben venga.
Poi per carità, sono perfettamente cosciente che il lavoro da noi proposto è ricco di limiti, e quindi certamente migliorabile… ma a mio modo di vedere ed in tutta onestà credo che i limiti che riconosco ad
“Appunti di Viaggio” non abbiano nulla a che vedere con le
“mancanze” di cui ho sentito parlare martedì, anzi semmai c’è
"troppa roba", troppi ritratti per esempio. Rispetto tuttavia il
“mi manca…” solo se dettato da un modo personale di chi lo esprime. Ognuno ha un suo modo di pensare ed intendere un racconto fotografico, e per chi sa anche come fare, di realizzarlo attraverso un audiovisivo, ma non per questo quel modo deve coincidere con il mio e con quello dei 5 autori (anzi 6, includendo anche Luca).
Ci tengo però a spiegare bene il concetto. Se il nostro lavoro nasce con le motivazioni che sono da te onestamente citate in apertura di questo forum e da Emanuele riprese, il
“mi manca…” che ho più volte sentito non deve però essere inteso come una carenza del lavoro fotografico proposto, ma forse più come una differenza rispetto al modo con cui qualcun altro avrebbe fatto quello che abbiamo fatto noi a modo nostro. La contestualizzazione di un discorso non può sempre e per forza essere veicolata da un segno occidentalmente riconosciuto, altrimenti anche il lavoro di Tano Siracusa
“Con i suoi occhi” o la
“Cuba” di Bazan (che io ho portato con me virtualmente nello zaino in viaggio) avrebbero le stesse carenze del nostro, e francamente mi pare sia una tesi insostenibile. Un racconto non può sempre e solamente essere scritto partendo dalla descrizione geografica di un luogo a campo largo, della strada e delle case, od avere una struttura chiaramente leggibile che contempli il tema, lo svolgimento e la conclusione, altrimenti
“Iàvàivòi” di Franco Carlisi, o
“Niagara” di Alec Soth non sarebbero mai potuti nascere e pubblicati. Non si può sempre e solo apprezzare la fotografia
"Window", negando l’esistenza di quella di tipo
“Mirror” (come Pippo stesso ci ha insegnato) altrimenti una certa mostra a New York non sarebbe mai potuta essere stata allestita ed un pezzo di quei 150 anni non sarebbero potuti trascorrere. Non si può pretendere di vedere la statua della libertà di
New York su ogni audiovisivo che parli di quella città … anche perché in due viaggi e tre settimane di permanenza io non l’ho mai vista… e francamente non mi manca per nulla!
Cosa voglio quindi dire in conclusione, in questo che sta trasformandosi in un ulteriore approfondimento, a mio modo di vedere costruttivo? Vorrei sottolineare che esistono diversi modi di esprimersi, come sottolinea Pippo esistono diversi tipi di narrazione, esistono diversi modi di porre nelle mani del referente gli strumenti per provare a capire cosa si vuole trasmettere, ma esiste anche il buon senso del referente che dovrebbe porsi criticamente rispetto al lavoro non tanto dal punto di vista di come lo avrebbe fatto lui, ma da quello di chi lo ha fatto. Poi e solo poi eventualmente stabilire se gli
“piace” oppure no, non tanto se è giusto o sbagliato il
“come” di chi lo propone. Il
“come” è una scelta del fotografo, ed in quanto tale se fatta con consapevolezza, non credo (dico non credo) possa essere sindacata… Può essere criticato il risultato finale, ma non la scelta che sta dietro per arrivarci.
Dicevo martedì (sintetizzo un discorso molto ampio che prima o poi proporrò su altro forum) Daydo Moryama, confeziona libri di fotografie “
messe insieme senza nessun particolare criterio” (sua dichiarazione). Vogliamo sindacare sul fatto che non sa confezionare libri? O possiamo solo dire se il risultato attraverso quel processo ci piace oppure no?
Alex Webb in “The Suffering of Light” presenta una serie di fotografie apparentemente slegate tra loro. Il lavoro quindi non va bene perché non si capisce dove sono fatte? Perché non si capisce quale sequenza logica abbia? Sfido a trovare una visione caratterizzante in senso geografico e/o architettonica nella “Cuba” di Bazan… eppure… accidenti se è Cuba.
Ora è chiaro che noi cinque non siamo neanche lontanamente degni di
"portare le borse" di questi grandi fin qui citati e che il nostro lavoro non ha nulla a che vedere con le meraviglie di cui sopra, ma il concetto ed il principio di fondo è lo stesso.
Torniamo infine ad un altro aspetto che forse non siamo riusciti a spiegare bene martedì. Riprendo la foto di Emanuele citata da Pippo in chiusura di serata. Ricordate lo sguardo illuminato dal raggio di sole? Quella foto nasce quindi da appunti di emozioni su un diario (credo che ormai la descrizione sia stata letta da tutti, quanto meno per curiosità). Ricostruisco l’operato di Emanuele.
Emanuele vede qualcosa che lo turba parecchio…
“Ma che razza di scuola è, che luogo è? Che diavolo succede in quel buco buio”… mosso da un’emozione e non dall’esaltazione della forma (che francamente è difficile pure da vedere in quel contesto specifico, provate per un attimo ad immedesimarvi nel luogo), si avvicina alla scena e prova di tutto per rendere al meglio quell’immagine. Che colpa può avere Emanuele oltre ad essere stato davvero molto brav0? Avrebbe dovuta farla meno
"bella"? E’ uno scatto formalmente ineccepibile, ma dall’altro lato della bilancia, perdonatemi, non riesco a mettere un grammo in meno di contenuto rispetto alla forma… ed allora perché non va bene? Pippo, attenzione, esulo assolutamente da ogni senso polemico, credimi te lo scrivo col cuore… è solo che ormai maturano idee ed opinioni e le condivido nel senso di metterle in comune… Potremmo poi dire che oggi la fotografia si spinge verso la predilezione del contenuto rispetto alla forma… è vero, probabilmente sarà qualcosa su cui ci concentreremo in futuro in qualche altro viaggio, ma tutto e subito, non ce la facciamo… altrimenti di che ti parlerò nel 2015?
Un caro abbraccio a tutti, grazie per la bella serata ed avanti così…
Alberto