L’importanza di chiamarsi Ernesto… (sperando che Wilde non si strozzi nella tomba!)
Arrivo con un po’ di ritardo, già qualcuno si è espresso e qualcun altro scalpita impaziente, ma il mio non è un verdetto, ci tengo a precisarlo, solo un’umile opinione.
Ernesto Bazan, nato Palermitano, ha avuto la ventura di portare il nome di un eroe della rivoluzione cubana, universalmente conosciuto: Ernesto Guevara detto il “Che”. Nomen omen? C’è un destino nella vita? Onestamente non l’ho mai creduto, ma certo la vita a volte ci sono strane coincidenze!
Lui certamente ci crede e fa partire la sua storia e la sua carriera da un sogno, un sogno di quando era bambino, “tu devi fare il fotografo… “, e lui ci ha creduto, ci ha creduto fino in fondo. Certo da Cuba è stato profondamente attratto il nostro Ernesto e con Cuba ha vissuto un profondo rapporto d’amore poi degenerato in odio, ma comunque passioni profonde e dove ci sono passioni profonde spesso si finisce col manifestare sensibilità artistiche particolari.
Non ci stupisce che da una tanto lunga ed appassionata convivenza sia nato quello splendido lavoro che abbiamo avuto modo di ammirare l’altra sera, sia in audio-visivo che in immagine fissa nei suoi splendidi libri che molti hanno fatto bene ad acquistare e meglio ancora a sfogliare più e più volte con attenzione per poter capire fino in fondo il messaggio dell’Autore. Certo Ernesto Bazan è uomo di grandi passioni, lo manifesta nelle fotografie come nelle parole, passione per Cuba, ma anche per le due donne più importanti della sua vita: la madre e la moglie, quest’ultima cubana per l’appunto. Certo da questa sua unione familiare, dalla lunga permanenza di 14 anni a Cuba e dalle profonde amicizie con gli abitanti che ne sono scaturite ha potuto godere di una posizione di osservatore privilegiato della società e dell’esistenza quotidiana dei cittadini cubani. Ma questo non vuol dire che tanto basti per creare tanta bellezza. Ci vuole sensibilità, ci vuole perizia e ci vuole volontà. Volontà che non è mancata e che ha spinto Bazan a creare quasi una casa editrice personale per curare con attenzione e fino allo sfinimento l’edizione della sua pubblicazione.
Poche note tecniche e tanta poesia e umanità nelle parole di Ernesto Bazan, soprattutto un profondissimo legame con la madre, che si è potuto notare sia dalle immagini dell’audiovisivo che dalle parole dell’Autore, legame profondo e ricambiato, sottolineato anche dalla presenza della madre alla serata.
Le parole che mi hanno colpito di più o forse che mi sono più rimaste impresse sono quelle della sua ricerca: “la poesia del quotidiano”. Egli si è volutamente allontanato dalla sua carriera di fotoreporter, per passare a quella di autore e soprattutto di docente che gli è tanto cara a giudicare dell’insistenza nel parlare dei suoi allievi e dell’aiuto che da essi ha ricevuto in questi anni. Egli si è chiaramente espresso contro la fotografia di guerra, di morte e di tragedia che fa’ da filo conduttore alla stragrande produzione reportagistica dei nostri giorni e che tanta parte occupa nei premi fotografici quali ad esempio il WPP. Preferisce puntare il suo obiettivo sulla vita di tutti i giorni, anche se le sue immagini sono pervase di una certa melanconia che sembra abbandonare per lo più quando inquadra i suoi affetti più cari: la famiglia e gli amici contadini. Per lo più un bianco e nero carico di toni scuri, di neri chiusi, che solo di recente ha in parte abbandonato per una breve incursione nel colore, per poi tornare prontamente al bianco e nero, come lui stesso racconta. Il resto lo raccontano le sue immagini, immagini da guardare e riguardare, immagini profonde, belle fotografie.
Devo ringraziare ancora una volta l’ACAF che mi ha fatto conoscere un Autore di cui tutto ignoravo e me lo ha fatto incontrare personalmente.
Come sempre,
Buona luce a tutti ... e anche un po' di poesia da mettere nei nostri sogni!