Contest Portfolio: Un congedo ed un arrivederci.
Scrive la mia amica Cristina Paglionico ( una delle migliori lettrici di fotografie che io abbia mai conosciuto):
“So di trovarmi davanti ad un portfolio quando l’insieme delle immagini che mi viene presentato costituisce un luogo della mente o dello spazio o del tempo: ogni singolo scatto realizza con il precedente e con il successivo una sinergia che amplifica il risultato, dilata la percezione, penetra l’obiettivo e approfondisce il tema. Ogni portfolio ha il suo ritmo e la sua grammatica, il suo fluire ed il suo singhiozzo, restituendo l’idea dell’autore alla complessità dei sentimenti, dell’analisi e del racconto, alla forza delle evocazioni, dei ricordi e delle paure. Il portfolio è una modalità espressiva che può far uso delle più diverse tecniche e soluzioni scenografiche, è la ricerca di una profondità, tra le tante raggiungibili, che tiene conto dei molteplici solleciti contemporanei e fissa l’attenzione sulla persistenza, oppure sull’evolversi del motivo ispiratore. Un portfolio è un insieme di tessere che compone il caleidoscopio dell’avvenimento.”
Vi prego di leggere la sua dichiarazione come fosse anch’essa un portfolio fotografico, , scandendone proposizioni e periodi, concetti e considerazioni.
Vi propongo questo esercizio a conclusione del nostro contest “Portfolio” dove ho avuto l’onore ed il piacere di incontrare ben dodici vostre proposte che volentieri incontravano e sperimentavano la “forma” di un portfolio.
Avevamo introdotto questo seminario con alcune definizioni di “portfolio”, accompagnandole con alcuni suggerimenti e qualche consiglio ed indicazione. Ed i risultati non sono mancati sia come proposte di idee, sia come invenzione di spazi e di tempi per la comune riflessione, sia come occasione di scambio di esperienze, sia come opportunità di confronto. E tutto questo va benissimo.
Ma, c’è un ma. Ognuno di noi sa più o meno ben documentare, raccontare, immaginare: questo è un fatto ormai accertato e sperimentato (se non altro perché lo dimostriamo nel personale lavoro di ogni giorno). Quello che non occorre mai dimenticare è che dobbiamo metterlo in “buona e bella fotografia”.
Perché è’ un vero peccato vedere, a volte, delle belle intuizioni e dei buoni elaborati cadere o macchiarsi di errori fotografici assai gravi per assenza di autocorrezione. Pertanto, niente più fotografie piatte, sfocate, confuse, sovra o sottoesposte, mal composte o tagliate frettolosamente; e, sempre, un forte “rigore” nelle nostre selezioni: meglio un immagine in meno che giri viziosi sullo stesso tema. E non inseguire l’audiovisivo, il fotoromanzo: pensate a Crocenzi, a Giacomelli, a Eugene Smith, ai grandi reporter che dopo tremila scatti tirano fuori il concentrato di una vicenda complessa solo con otto, dieci fotogrammi.
Ciò detto, e senza tralasciare la lettura di cui sopra, ritorno volentieri alla serata conclusiva per alcune considerazioni che vi voglio comunicare (ovvero mettere insieme):
preliminarmente una constatazione, come dire, “climatica”. L’Acaf si conferma un ambiente ideale per lo studio, l’approfondimento ed il confronto; c’è sana competitività, interesse all lavoro degli amici tutti, attenzione al confronto, aiuto nella difficoltà e, sempre e comunque, una bella, sana e santa risata liberatoria. I nostri Soci Fondatori ci hanno vaccinato e continuano a vaccinarci contro i cerebralismi e gli intellettualismi da quattro soldi e tutti noi, vecchi e giovani, li ringraziamo per quest’opera di prevenzione e buon senso;
successivamente, non disperdiamo quest’entusiasmo vissuto con serenità ed umiltà; ho constatato, invero, che i nuovi soci, gli ospiti (e che ospiti!) ed i simpatizzanti erano coinvolti, contagiati, attenti al nostro buon umore ma anche alla capacità di sciorinare pubblicamente la nostra biancheria fatta di storie personali, a volte intense, anzi intensissime;
infine, riconsideriamo, come diceva Canuti, che questo è il senso dello stare insieme: confrontare idee e dar loro una visibilità, anche quando ci sembra di stare in vacanza, anzi, forse, certamente, proprio perché il quel momento la mente è pericolosamente vacante.
Ed allora, e vi lascio, se ho voluto segnalare alcune delle vostre proposte, andando al di là delle indicazioni del nostro Presidente - che ha sottolineato, qualora ce ne fosse stato bisogno, il carattere sempre didattico e di sperimentazione di ogni iniziativa interna del nostro Circolo – l’ho fatto per puro piacere, per diletto personale, ribadendo l’apprezzamento, che mi è parso peraltro condiviso, verso quei lavori che meglio hanno cercato quella strada che sopra indicava la mia amica Paglionico.
E ancora una volta l’abbiamo fatto insieme. Vogliamo rifarlo? Arrivederci, allora.
Pippo Pappalardo
|