Darukhana (18° 58' 21.04" N 72° 51' 10.89" E) una zona industriale a
nord di Mumbai, dove esistono cantieri per la demolizione e
riutilizzazione di parti navali ,quali acciaio,ferro,rame,legno ed altre
componenti.
Un numero imprecisato di Cantieri offre lavoro a circa 6000 persone le
quali devono provvedere alla smantellamento di circa 20.000 tonnellate
provenienti dalle navi cargo entro e non oltre 12 settimane, in
condizioni di lavoro quotidiano pericolose sia per il metodo quanto per
le sostanze altamente tossiche presenti. Questo purtroppo in diretta
violazione della convenzione di Basilea .Entrare dentro un “Dock” è
assai difficile soprattutto se l’intento è quello di documentare quello
che avviene all’interno, ciononostante sono riuscito a farlo.
Una mattina a Darukhana (Mumbaì): luglio 2011
Quando arrivo i lavoratori sono già lì da ore sul difficile terreno del
cantiere di demolizione con una colonna sonora assordante di rumore..
Acciaio in piena espansione, il sibilo della torcia(fiamma ossidrica) e
martelli metallici non consentono una normale conversazione.. un aria
irrespirabile ed una gran puzza di fiamma ossidrica e lubrificanti
bruciati dispersi nei cantieri.
Neanche la pioggia monsonica presente in questa parte dell’anno sembra
intimorire ,le persone procedono incessanti ed ignorando il clima che li
circonda. La mia presenza non li disturba, cerco di interloquiare con
qualcuno alla ricerca di sapere ,conoscere la loro condizione il loro
salario.Sono volti i loro ,di gente abituata ad un lavoro usurante , i
loro sguardi sono dignitosi.Una nave denominata “Cinthia” è appena
iniziata .
Mi spiegano che tempo massimo 45 giorni della nave non rimarra’ traccia .
la prima fase è quella dell’abbattimento della Prua All’interno della
stessa una infinita’ di uomini muniti di fiamma ossidrica “tracciano dei tagli”, quella che sara’ la prima parte a staccarsi.
Torno 2 giorni dopo per vedere l’avansamento dei lavori ed arrivo nel
momento in cui la grande gru sta staccando la Prua . una procedura
questa molto delicata e pericolosa ,come tante altri fasi .
Questa parte viene posizionata a terra per permettere lo smantellamento
dello stesso in modo comodo e per consentire ai mezzi a ruote di
trasportare le parti tagliate neile varie destinazioni, quasi sempre
tornitori per riutilizzare come nuovo una parte cambiandogli completamente l’uso.
Ogni mattina, uomini provenienti da zone rurali povere dell’ India o del
Pakistan, arrivano per lavorare ad una paga giornaliera inferiore ai
due euro, in condizioni di lavoro disumano non protetto da alcun codice
di sicurezza, rischiando la morte . La rottamazione di vecchie navi da
carico provenienti da tutto il mondo (anche dalle nazioni industriali
occidentali) e le esportazioni di rottami di acciaio contaminato, sono
un business molto redditizio, svolto a costi minimi ed in disprezzo delle più
elementari norme di diritto internazionale per la sicurezza sul lavoro,
per questo motivo condannato come una violazione della convenzione di
Basilea.
Se da una parte la rottamazione di materiali diversi crea ricchezza,
dall’altra le condizioni in cui gli operai lavorano causano incidenti
giornalieri quali ustioni, intossicazioni, fratture etc in quanto i
lavoratori sono privi di indumenti di protezione , esposti al rumore ed alla contaminazione di
sostanze tossiche quali amianto, piombo, arsenico, olio, solventi e
cromo.
Inoltre, le zone circostanti, con il crescere del business, sono colpite
da inquinamento chimico in quanto i vari liquidi vengono scaricati
nell’acqua che viene utilizzata dagli abitanti per lavare e cucinare.
Mi chiedo quante rupie intascherà ognuno di loro, e soprattutto perchè
hanno scelto di fare questo. Chissà quante storie umane da raccontare
in questo luogo sconosciuto.
Mi chiedo da chi vengono pagati. E quale miseria sarà la loro salvezza.
Ho notato che molti di loro non hanno nessuna protezione. Nè guanti nè
casco. Insomma carne da macello nel bel mezzo di quei rottami che la
società ricca e opulenta ha deciso di mettere a riposo. Un lavoro
sporco. Eppure nei loro volti traspare una felicità inconsueta, forse
inconscia. Sorridono come fossero i veri protagonisti di un film nel
quale
non riusciamo ad afferrare le tante sfaccettature che emergono
prepotentemente.
Eppure in questa discarica di acciaio e di uomini emerge con drammatica
evidenza quel senso di dignità, difficile da percepire. Lavoratori
protagonisti per un giorno che sembrano dirci: "Ehilà, guardate che noi esistiamo".
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